L'Appercezione sta a indicare una forma particolare di percezione mentale, che si distingue per chiarezza e consapevolezza di sé. Fu introdotto dal filosofo Leibniz per definire la "percezione della percezione", ossia la percezione massima perché situata al più alto livello di autocoscienza. Secondo Leibniz, la capacità di pensare e di rappresentarsi il mondo non appartiene esclusivamente alla vita cosciente, ad esempio agli uomini o agli animali superiori. Anche la realtà apparentemente inanimata, come la materia, ha una sua vita nascosta, fatta di piccole percezioni, che rimangono avvolte nell'oscurità e nell'incoscienza.

Persino al più infimo livello dell'essere non c'è mai assenza totale di una qualche attività pensante. Non esiste una realtà che sia priva di pensiero; esistono semmai infinite gradazioni di pensiero, da quello più confuso a quello più chiaro e distinto, nel quale si ha appunto l'appercezione. L'essere risulta così strutturato in un'infinità di sostanze o monadi, ognuna delle quali è un "centro di rappresentazione", vale a dire un centro di forza, dotato di un'energia spirituale che consiste in una particolarissima e individualissima prospettiva sul mondo.

La vitalità della materia, con cui Leibniz si riappropria della metafisica neoplatonica abbinandola in un certo senso all'entelechia aristotelica, gli consente di confutare la filosofia di Cartesio: questi aveva assimilato tutta la conoscenza alla res cogitans, contrapponendola alla res extensa cioè alla realtà materiale fuori di noi, concepita in forma meccanica e inanimata, che diventava così un qualcosa di inerte e privo di importanza. Cartesio non negava l'esistenza della materia, ma la considerava vera solo nella misura in cui riusciva ad averne una coscienza chiara ed evidente, per cui se non ne ho coscienza non esiste. Tale impostazione è per Leibniz gravemente sbagliata: in realtà esistono anche pensieri di cui non si ha consapevolezza, perché non c'è nessun dualismo insanabile tra spirito e materia, tra coscienza e incoscienza, ma solo infiniti passaggi dall'uno all'altro.
È soltanto negli organismi superiori, però, e in particolare nell'uomo, che le percezioni giungono a diventare coscienti, cioè ad essere appercepite: l'uomo infatti riesce a coglierle unitariamente nella loro molteplicità, sommandole e componendole in una visione sintetica, come fossero tessere di un mosaico. In ciò consiste propriamente l'appercezione, che significa in definitiva "accorgersi"; ad esempio il rumore del mare è in fondo il risultato del rumore delle piccole onde che essendo piccole percezioni noi assimiliamo inconsciamente fino a sviluppare la "percezione della percezione".

«La percezione della luce o del colore, della quale abbiamo appercezione, è composta da una quantità di piccole percezioni, delle quali non abbiamo appercezione; ed un suono del quale abbiamo percezione, ma al quale non poniamo attenzione, diventa appercepibile con una piccola addizione o incremento. Infatti se ciò che precede non producesse nulla sull'anima, anche questo piccolo incremento non produrrebbe nulla e la totalità neppure.»

Ciò significa che anche nell'uomo possono darsi percezioni inconsce, a cui non prestiamo cioè sufficiente attenzione o che releghiamo nei meandri oscuri della mente. Soltanto in Dio esiste il più alto grado di rappresentazione del mondo, ossia l'appercezione più chiara e distinta che è l'autocoscienza: questa riassume in sé le percezioni di tutte le altre monadi.
Leibniz si pone così agli antipodi anche rispetto all'empirismo di Locke, che concepiva la realtà in termini meccanici di causa-effetto, e secondo il quale le idee della mente erano come oggetti plasmati dall'esperienza, per cui (in maniera simile a quanto affermava Cartesio) esisterebbe solo ciò di cui ho un'idea sufficientemente chiara e oggettiva, essendo questa un'"impronta" del mondo sensibile. Leibniz fu invece un sostenitore dell'innatismo platonico della conoscenza: il conoscere non è un automatismo meccanico, ma atto di appercezione che coinvolge in qualche modo la libertà e l'autocoscienza del soggetto. La conoscenza è quindi un atto fuori dal tempo, e non la ricezione passiva di un fatto o una semplice nozione.

Biografia e Storia del Pensiero

Considerato il precursore dell'informatica, della neuroinformatica e del calcolo automatico, fu inventore di una calcolatrice meccanica detta Macchina di Leibniz; inoltre alcuni ambiti della sua filosofia aprirono numerosi spiragli sulla dimensione dell'inconscio che solo nel XX secolo, con Sigmund Freud si tenterà di esplorare. Leibniz è uno dei massimi esponenti del pensiero occidentale, nonché una delle poche figure di "genio universale"; la sua applicazione intellettuale a pressoché tutte le discipline del sapere ne rende l'opera vastissima e studiata ancor oggi trasversalmente.

A lui si devono i termini "funzione", che egli usò per individuare le proprietà di una curva, tra cui l'andamento, la pendenza, la corda, la perpendicolare in un punto, e "dinamica". A Leibniz, assieme a Isaac Newton, vengono generalmente attribuiti l'introduzione e i primi sviluppi del calcolo infinitesimale, in particolare il concetto di integrale, per il quale si usano ancora oggi molte sue notazioni.

«Nulla va considerato come un male assoluto: altrimenti Dio non sarebbe sommamente sapiente per afferrarlo con la mente, oppure non sarebbe sommamente potente per eliminarlo.»

Il suo contributo filosofico alla metafisica è basato sulla Monadologia, che introduce le Monadi come "forme sostanziali dell'essere". Le Monadi sono delle specie di atomi spirituali, eterne, non scomponibili, individuali, seguono delle leggi proprie, non interagiscono, ognuna di esse riflette l'intero universo in un'armonia prestabilita. Dio e l'uomo sono anche monadi: le monadi differiscono tra loro per la quantità di coscienza che ognuna ha di sé e di Dio.

Nel modo abbozzato in precedenza, il concetto di monade risolve il problema dell'interazione tra mente e materia che sorge nel sistema di Cartesio, così come l'individuazione all'apparenza problematica nel sistema di Baruch Spinoza, che rappresenta le creature individuali come modificazioni accidentali di un'unica sostanza. La Theodicée (Teodicea) tenta di giustificare le imperfezioni apparenti del mondo sostenendo che esso è il migliore tra i mondi possibili. Il mondo deve essere il migliore e il più equilibrato dei mondi, perché è stato creato da un Dio perfetto. In questo modo il problema del male è risolto a priori; non a posteriori, con un premio ultraterreno per i giusti, che Kant userà per argomentare l'immortalità dell'anima. Le idee non sono incompatibili; l'affermazione "è il migliore dei mondi possibili" è un giudizio sintetico a priori.

Invece la "soluzione a posteriori" è una verità di fatto, Kant direbbe propria della ragion pratica; la soluzione "a priori" è una verità di ragione, propria della ragion pura (direbbe Kant), cui è tenuto il filosofo. La critica di Voltaire rimane filosofica perché mossa non su un piano metafisico, ma sul lato pratico delle esperienze umane, l'unico in cui è debole (come notava lo stesso Leibniz).

Leibniz in nome della metafisica sosteneva la prima verità. Leibniz ha scoperto la matematica dei limiti e il principio degli indiscernibili, utilizzato nelle scienze, secondo il quale due cose che appaiono uguali - e fra le quali quindi la ragione non trova differenze - sono in realtà la stessa cosa, poiché due cose identiche non possono esistere. Da questo principio deduce il principio di ragion sufficiente per il quale ogni cosa che è, ha una causa. Questo principio implica il primo, nel senso che per parlare di differenza deve esserci un motivo (vedere delle differenze, appunto), rendendo inutile operare "distinguo" a tutti i costi.

Il principio di ragion sufficiente lo obbligava a trovare una giustificazione alla presenza del male nel mondo, senza negarne l'esistenza a differenza della posizione di Sant'Agostino e di altri filosofi. La frase "Viviamo nel migliore dei mondi possibili", molto spesso decontestualizzata, fu guardata con scherno e malignità da alcuni suoi contemporanei, soprattutto Voltaire, che parodiò Leibniz nella sua novella Candide, dove il filosofo tedesco appare sotto le spoglie di un certo "Dottor Pangloss". Secondo altri critici, tuttavia, Pangloss non rappresenterebbe una maligna e superficiale caricatura di Leibniz, ma di Maupertuis, celebre scienziato e presidente dell'Accademia delle Scienze di Berlino, nei riguardi del quale Voltaire nutriva una pubblica inimicizia, e che aveva già attaccato in Micromégas e nell'Histoire du Docteur Akakia. Questo nome deriva dal tentativo di Leibniz, mai concluso, di creare un linguaggio universale, basato su degli elementi minimi comuni a tutte le lingue. Da quest'opera il termine panglossismo si riferisce a persone che sostengono di vivere nel miglior mondo possibile.

La concezione di Leibniz era contrapposta alla tesi di Newton di un universo costituito da un moto casuale di particelle che interagiscono secondo la sola legge di gravità. Tale legge, infatti, secondo Leibniz, era insufficiente a spiegare l'ordine, la presenza di strutture organizzate e della vita nell'universo e più razionale del continuo intervento dell'"Orologiaio" creatore dell'universo ipotizzato da Newton. Leibniz è ritenuto la prima persona ad aver suggerito che il concetto di retroazione fosse utile per spiegare molti fenomeni in diversi campi di studio.

La disputa sulle priorità nell'invenzione del calcolo infinitesimale non è promossa direttamente da Newton e Leibniz, ma da altri personaggi di secondo piano. Ad esempio nel 1699 Leibniz osserva che nell'Opera di John Wallis sono state riprodotte lettere sue e di Newton; e spiega che Wallis gli aveva chiesto il permesso di pubblicazione e che lo aveva lasciato libero di intervenire sui testi, ma che, per mancanza di tempo, egli gli aveva detto di fare come meglio credesse. Alla fine non si pentiva di questa scelte. Fatio de Duiller intanto attacca Leibniz apertamente in un suo lavoro, chiamandolo secondo scopritore del calcolo e suggerendo senza mezzi termini che aveva copiato da Newton. A rendere la situazione più sgradevole c'è il fatto che il testo di Dullier viene edito con l'imprimatur della Royal Society. Di fronte alle rimostranze di Leibniz, tuttavia, sia Wallis sia il segretario della Royal Society gli porgono le proprie scuse.

L'idea di sistema economico secondo Leibniz

Dal suo enorme epistolario, risulta che Leibniz ebbe influenza presso molte corti europee, fino alla Russia di Pietro il Grande, del quale fu consigliere; nell'arco di anni di attività diplomatica riuscì a tessere una rete di amicizie con molti personaggi importanti.
Leibniz scrisse un Piano di creazione di una società delle Arti e delle Scienze in Germania il cui primo obiettivo è di «produrre abbastanza nutrimento per la nazione al fine di migliorare le industrie, di facilitare la sorte della mano d'opera manuale attraverso il progresso tecnologico, di rendere sempre a un prezzo abbordabile le macchine termiche, motore di base dell'azione meccanica, al fine che tutti possano costantemente sperimentare tutti i tipi di pensieri e idee innovatrici, proprie a loro stessi e agli altri, senza perdere tempo prezioso». Leibniz considera che la schiavitù non migliora la produttività: è uno spreco perché la vera ricchezza risiede nelle capacità dei cittadini di inventare. In La società e l'economia, Leibniz aggiunge: «E perché tanta gente [i lavoratori] dovrebbe essere ridotta a tanta povertà per il bene di così pochi? La Società avrà dunque per scopo puntuale quello di liberare il lavoratore dalla sua miseria».

L'utopia, come in questo caso, anche se non può essere raggiunta, vale come limite cui tendere. Lo scritto nasce all'interno di una disputa con il filosofo liberista John Locke. Leibniz riteneva che uno Stato dovesse favorire la creazione di invenzioni, di macchine e di manifatture, al fine di liberare l'uomo dal lavoro fisico più alienante e di dare alla società più pensatori e più capacità. Nel saggio Elementa Juris Naturalis, Leibniz affermò che la società perfetta è quella il cui obiettivo è la felicità suprema e generale.

Secondo Leibniz la ricchezza di una nazione non risiede né nelle ore di lavoro incorporate nei beni (e "nel sudore" necessario a produrli) né nell'abbondanza di oro che corrisponde a un attivo della bilancia commerciale (più esportazioni che importazioni); per il filosofo la ricchezza è in primo luogo la capacità di una nazione di produrre beni, il principale prodotto di una società sono le persone, e la ricchezza consiste nella disponibilità di un capitale umano di conoscenza e di un'industria manifatturiera in grado di garantire un futuro alla crescita economica. Perciò ogni repubblica secondo Leibniz avrebbe dovuto investire nell'istruzione e mantenere una propria industria manifatturiera. In un certo senso alle nazioni (come a ogni individuo cosciente) era applicata la nozione di monade.


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