Una scomoda complicità condivisa da quell'esistenzialista ed eretico realista, Carl Schmitt, con i suoi acerrimi nemici ideologici: gli anarchici. Nelle loro posizioni diametralmente opposte sullo Stato, sia Schmitt che gli anarchici rivelano l'assolutismo dello Stato nel momento sovrano dell'eccezione, e la sua dipendenza da una figura dell'anarchia che allo stesso tempo lo destabilizza, offuscando la divisione tra dentro e fuori e aprendo un momento genuinamente rivoluzionario.

Qui la nozione di anarchia è usata per decostruire il realismo, mentre allo stesso tempo suggerisce un passaggio oltre l'anarchismo stesso verso un anarchismo post-fondazionalista o "postanarchismo".

Questa concezione dell'anarchia, come ontologicamente precedente alla vita sociale, e di una reale assenza costitutiva, è stata ampiamente discussa, e rafforza l'idea che l'ordine sociale è immanente, aperto e plurale, una condizione sociale che è essa stessa trascendente e radicalmente indeterminata, proprio perché la pura pluralità della vita sociale milita contro qualsiasi monismo politico trascendente o fisso.

Schmitt isola il concetto di politico in quanto tale, e lo lega strettamente al rapporto amico-nemico.

Secondo Schmitt il fenomeno politico sorge in seno a una comunità di individui quando questa prende coscienza di sé stessa come di una comunità di intenti, mantenuta unita dalla fede negli stessi valori e decisa a proteggersi per mezzo di "rappresentanti’"che aiutino gli amici e combattano i nemici.

Da questo punto di vista l’ordinamento giuridico, grazie al quale tale comunità prende forma legale, non deve mai essere considerato secondo la lettera, ma secondo lo spirito.

Ciò diventa particolarmente vero quando viene messa in pericolo la vita stessa della comunità. Schmitt introduceva qui un nuovo concetto di sovranità, in base al quale «sovrano è chi decide sullo stato di eccezione». Lo stato di eccezione mette a nudo le radici di ogni ordinamento, che poggia sempre su una decisione politica fondamentale, quella di proteggere gli amici e combattere i nemici. 

Nichilismo e Anarchia

L'abuso della parola anarchia è del resto tipico di una concezione che non permette ancora di distinguere tra anarchia e nichilismo. Si deve pertanto notare ancora una volta che l’anarchia, se confrontata con il nichilismo, non è il male peggiore.

Anarchia e diritto non si escludono necessariamente. Il diritto di resistenza e quello dell’autodifesa possono essere buoni diritti, e al contrario una serie di disposizioni senza possibilità di opposizione, tali da annichilire ogni idea di autodifesa, ovvero un sistema di norme e di sanzioni capace di eliminare tacitamente ogni perturbatore, possono significare una terribile distruzione nichilistica di ogni diritto.

I grandi problemi del diritto internazionale non sono coì semplici come li presenta il pacifismo della Società delle Nazioni, con il suo slogan «anarchia».

Il sistema instaurato a Ginevra nel 1920 dalla Società delle Nazioni era inferiore all’anarchia, e di essa peggiore; al contrario, i metodi anarchici del Medioevo non erano affatto nichilistici. Essi, come si può facilmente mostrare, conoscevano e difendevano un autentico diritto, che si fondava su localizzazioni e ordinamenti sicuri.

Solo questo è decisivo, poiché dà la possibilità di distinguere tra guerre sensate e guerre di annientamento, e di salvare la possibilità di ordinamenti concreti dalla "tabula rasa" del legalismo nichilista.*

La dualità oppositiva che contrappone "autorità" e "anarchia" ha sorprendentemente perduto la sua tensione autentica. Già oggi è possibile affermare che sta ormai diventando attuale una dualità oppositiva completamente diversa, quella che contrappone "anarchia" e "nichilismo".

Se confrontata con il nichilismo di un ordine centralizzato, che prevale servendosi dei moderni mezzi di distruzione di massa, l'anarchia può apparire all'umanità disperata non solo come il male minore, ma anzi come il solo rimedio efficace.

Un dato sorprendente, che merita di essere analizzato da chiunque rifletta su presente e futuro.**

Riferimenti bibliografici:

* CARL SCHMITT (1888 – 1985), “Il nomos della terra nel diritto internazionale dello «jus publicum europaeum»”, trad. e postafazione di Emanuele Castrucci, cura editoriale di Franco Volpi, Adelphi, Milano 1998 (II ed., I ed. 1991), III. ‘Lo «Jus publicum europaeum», 4. ‘Mutamenti territoriali’, a) ‘Mutamenti territoriali all’esterno e all’interno di un ordinamento spaziale internazionale’, p. 229.

** CARL SCHMITT, “Donoso Cortés interpretato in una prospettiva paneuropea” (1922 – 1944), a cura e trad. di Petra Dal Santo, Adelphi, Milano 1996, ‘Introduzione’, p. 13.