Afferma Sorel: «il socialismo è una questione morale, nel senso che esso porta alla luce un nuovo modo di giudicare gli atti umani, oppure, seguendo una celebre espressione di Nietzsche, una nuova valutazione di tutti i valori».

Il proletariato non ha bisogno di guide: autorganizzandosi, invece, può rendersi consapevole della sua funzione rivoluzionaria. Contro la tesi marxista del proletariato organizzato in un partito, Sorel auspica - senza per questo riprendere le idee anarchiche di Michail Bakunin ma semmai quelle di Proudhon, il primo anarchico - che l'azione diretta, senza mediazione alcuna, sia lo strumento dell'azione rivoluzionaria.

L'autonomia politica del proletariato

Sorel esalta il primato dell'azione: un elogio del "fare" che ha un risvolto filosofico in quanto si richiama alla tesi di Giambattista Vico, ripresa da Marx, secondo cui l'uomo conosce veramente solo quello che fa. Da qui si definisce in Sorel una particolare idea della coscienza di classe che non è data in sé, ma si forma nell'azione con l'acquisizione progressiva di capacità tecniche e morali. Questa crescita, però, può esistere solo se i gruppi operai rimangono, dal punto di vista organizzativo e ideologico, completamente separati dalla società borghese: è questo il principio dell'autonomia operaia che è al centro della tematica soreliana.

Il proletariato arriverà alla coscienza di classe proprio attraverso il meccanismo economico del liberalismo che porta inevitabilmente alla emancipazione dell'operaio, alla rivoluzione, alla lotta di classe che rappresenta «l’aspetto ideologico di una guerra sociale mossa dal proletariato contro tutti gli industriali». In questo scontro «il sindacato, l'alfa e l'omega del socialismo, è strumento della guerra sociale».

La teoria del mito

L'essenza stessa del pensiero politico di Sorel è rappresentato dalla sua adesione alla "teoria del mito", diffusa nelle filosofie del Novecento.

Nelle Considerazioni sulla violenza del 1906, Sorel raffigura il mito come un sistema di pensiero che fondandosi sulla irrazionalità è esente dalla dimostrazione logica. Il mito rapporta il pensiero all'azione creando una leggenda nella quale l'uomo può agire senza confrontarsi con la storia:

«gli uomini partecipano ai grandi movimenti sociali e si figurano le loro future azioni come immagini di battaglie, per assicurare il trionfo della causa. Importa assai poco sapere quali particolari, contenuti nei miti, siano destinati ad apparire realmente sul piano della storia futura; si può anche concludere che niente di quanto contengono si produce.»

Lo storico israeliano Zeev Sternhell, interprete del sorellismo politico, parla di una centralità, a tal proposito, della potenza dell'elemento mitico e del ruolo che può avere come stimolo all'azione sociale.

Nel suo saggio succitato contrappone al mondo storico un mondo fantastico creato dall'azione, che diviene mito sociale quando viene assimilato dalla masse come punto di riferimento. Il mito sociale è espressione della volontà e non dell'intelletto, ben diversamente dalla utopia che è un prodotto intellettuale. I miti non possono essere messi in discussione, non promettono benefici immediati come l'utopia, ma sono una forza ispiratrice di una violenza che contiene alti valori morali.

«Adoperando il termine di mito, credevo di avere avuto una trovata felice, perché in tal modo rifiutavo ogni discussione con coloro che vogliono sottomettere lo sciopero generale a una critica minuta e che accumulano obiezioni contro la sua attuabilità. Pare invece che abbia avuto una ben infelice idea, poiché gli uni mi dicono che i miti sono propri soltanto alle società primitive, mentre gli altri si immaginano che io voglia dare al mondo moderno come forza propulsiva dei sogni analoghi a quelli che Renan riteneva utili per rimpiazzare la religione; ma si è andati anche più lontano, e si è preteso che la mia teoria dei miti sia un argomento da avvocato, una falsa traduzione delle opinioni autentiche dei rivoluzionari, un sofisma intellettualista [...]Capisco che questo mito dello sciopero generale, in ragione del suo carattere di infinità, venga a ferire le persone sagge; nel mondo attuale è assai viva la tendenza a ritornare alle opinioni degli antichi e a subordinare la morale al buon andamento degli affari pubblici, il che conduce a porre la virtù in un giusto mezzo. Fin tanto che il socialismo rimane "una dottrina esposta interamente a parole", è molto facile di farlo deviare verso un giusto mezzo; ma questa trasformazione ovviamente è impossibile quando si introduce il mito dello sciopero generale, che comporta una rivoluzione assoluta [...] Mentre i nostri attuali miti conducono gli uomini a prepararsi a una battaglia per distruggere ciò che esiste, l'utopia ha sempre avuto per effetto di dirigere gli spiriti verso riforme che potranno effettuarsi gradatamente modificando il sistema; non bisogna quindi meravigliarsi se tanti utopisti poterono diventare abili uomini di Stato allorché essi ebbero acquistata una maggiore esperienza della vita politica.»

La critica del positivismo

Nel suo altro libro fondamentale, Le illusioni del progresso, edito nel 1908, Sorel critica il positivismo che veicola una fiducia sproporzionata nella capacità della scienza a risolvere tutti i problemi e l'ideologia illuministica del progresso che crea l'illusione pericolosa della felicità prodotta naturalmente dall'operare borghese. Da qui l'accostamento con il pensiero antipositivista di Bergson, anche se non proprio con la sua teoria dello "slancio vitale" dalla quale si discosta esplicitamente. Il pensiero di Sorel si caratterizza, dunque, per una feroce critica antiborghese: la borghesia si accontenta della propria mediocrità ed è attirata solo dalla vita comoda e dal denaro; il parlamento è il tipico luogo politico della borghesia, è utile solo al mantenimento dello status quo, e vi si palesa quel chiacchiericcio vuoto che è tipico dell'essenza borghese. Il socialismo parlamentare è degenerazione del socialismo in quanto legittima lo Stato e finisce, perciò, per legittimare la borghesia; l'alternativa è l'azione rivoluzionaria del proletariato (che non deve condividere nulla con le istituzioni e le organizzazioni borghesi). Visto che si sta consolidando la prassi di un socialismo parlamentare, va da sé che la rivoluzione non potrà essere condotta dal partito, bensì dal sindacato. Si arriverà alla rivoluzione attraverso lo sciopero che, secondo Sorel, non potrà mai essere strumento di contrattazione poiché è un vero e proprio "tirocinio rivoluzionario": attraverso lo sciopero il proletariato acquisisce coscienza di classe.

Lo sciopero generale

Dallo sciopero generale condotto non tanto per motivi sindacali quanto per motivi ideologici, si genererà prima il fastidio per lo sconvolgimento dell'ordine sociale, e, in seguito la reazione repressiva violenta della borghesia che farà nascere la spontanea e violenta controreazione rivoluzionaria del popolo guidato dal proletariato. Lo sciopero generale è punto creatore della rivoluzione: porta all'abolizione delle differenziazioni sociali; non ha, però, una tempistica e dei confini precisi, è un'essenza di riscatto sempre presente nelle coscienze dei proletari.

«Lo sciopero generale costituisce il mito nel quale si racchiude tutto intero il socialismo, ossia un'organizzazione d'immagini capaci di evocare istintivamente tutti i sentimenti corrispondenti alle diverse manifestazioni della guerra ingaggiata dal socialismo contro la società moderna. Gli scioperi hanno prodotto nel proletariato i sentimenti più nobili, più profondi e più dinamici che egli possieda; lo sciopero generale li unisce in un quadro d'insieme, e, attraverso il loro accostamento, dà a ciascuno il massimo d'intensità; facendo appello ai più ribollenti ricordi delle lotte particolari, esso colora di un'intensa vita ogni dettaglio della composizione presente alla coscienza. Otteniamo così quella intuizione del socialismo che il solo linguaggio non poteva offrire in maniera particolarmente chiara - e l'otteniamo in un insieme istantaneamente chiarificato.»

Da questo nucleo si diparte una prospettiva politica che porta a Sorel ad una decisa metamorfosi del marxismo: mito e razionalismo si contrappongono. Solo il "mito politico" è fonte inestinguibile di rigenerazione, gloria politica di ascendenza machiavellica (Carl Schmitt parla di Sorel come del Machiavelli del secolo XX) e eroismo moralizzatore; solo il "mito politico" può costituire, a differenza del razionalismo dottrinario, una forza ideologica concreta.

Il machiavellismo

Alla visione dell'autonomia operaia o alla originarietà del sociale, il teorico francese iniziava a sostituire una machiavellismo creatore fondato sull'autonomia del politica e sulla centralità del "Principe". La concezione politica di Sorel, attraversando un percorso che finisce per superare sia la sinistra radicale marxista sia la destra radicale maurassiana con la quale collaborò, assume un'evidente dimensione catastrofistica la quale, secondo Zeev Sternhell, elaborata nella prassi dal realismo politico di Mussolini, finiva per dare vita al movimento e al regime fascista. Mostra bene lo storico israeliano che almeno l'80 per cento dei quadri dirigenti del movimento fascista derivavano dal sindacalismo rivoluzionario italiano, di radice soreliana.

Le distanze dal fascismo

Alcuni giudizi espressi nell'epistolario tendono a contrastare l'opinione di una simpatia politica di Sorel con il fascismo che, se pur vi fu inizialmente nel periodo di Sansepolcro, risulterebbe dissolta nel 1921:

«Ho una grande paura che le elezioni conducano ad una camera favorevole ai fascisti [...] Sono persuaso che i fascisti hanno per capo nascosto, ma reale, il re che nel 1915 ha spinto l'Italia a far la guerra nella speranza di distruggere il socialismo.)» — Dalla lettera a Paul Delesalle del marzo 1921, in Lettres à Paul Delesalle, Parigi, 1947, p. 215.

 

«I "fascisti" trattano i socialisti più o meno come i Black and tans trattano i Sinn-feins e hanno fin qui il prestigio della violenza. [...] La Russia rimane il solo paese nel quale possa fermentare qualche lievito. [...] Occorre seguire con molta simpatia quello che fa Lenin.)» — Dalla lettera a Guglielmo Ferrero del 13 marzo 1921; citato in Georges Sorel e Guglielmo Ferrero, a cura di Mario Simonetti, "Il Pensiero politico", n. 1, 1972, p. 149.

 

«Le cose d'Italia mi sembra vadano assai male [...] Il disordine dei fascisti, che sopprimono lo stato di cui [Giolitti] pretende essere il difensore intransigente, ben potrebbero ricondurre l'Italia ai tempi del medio-evo. Non sembra che i fascisti siano più equilibrati dei futuristi.» — Dalla lettera a Mario Missiroli del 21 giugno 1921; citato in Lettere a un amico d'Italia, a cura di M. Missiroli, Bologna, 1963, pp. 308-309.